L’etichetta
giapponese ha radici nell’era Muromachi (dal 1336 al 1573), periodo in cui la
classe militare fece la sua ascesa.
In particolare, Ogasawara Sadamune
(1294-1350) fu un elemento chiave per permettere a Kougon, cugino dello Shogun,
di salire al trono.
Come segno di
riconoscimento, Kougon investì Ogasawara a ufficiale in carica all’etichetta di
corte.
Il pro-nipote di
Sadamune, Nagahide Ogasawara (1366-1424), continuò l’opera dell’avo e compilò
il primo testo sull’etichetta giapponese, il Sangi ittō ōsōji (三議一統大双紙), “Le tre arti unificate”: equitazione, tiro con
l’arco ed etichetta.
La stirpe
Ogasawara era composta da grandi samurai; questo codice quindi serviva ai
condottieri per trasmettere al nemico segnali di resa e di inoffensività,
salvando loro la vita.
Per questo
motivo, l’etichetta giapponese richiede movimenti calibrati e perfetti anche nel modo in cui ci si siede e ci si inchina, tali da confondere il nemico
ed essere sempre pronti ad attaccare.
Anche la più
piccola fessura tra le braccia ed il corpo o un comportamento diverso potevano
essere pericolosi.
Fino al periodo
Edo, il testo del clan Ogasawara rimase di conoscenza solo della nobiltà e
della classe dei samurai.
A quel tempo, l’etichetta
era vista come una qualità mascolina e un’abilità che, se acquisita, era in
grado di salvare la propria vita.
Dopo il periodo
Edo, la classe dei commercianti aveva acquisito abbastanza ricchezza da permettersi
di studiare.
Il clan Ogasawara
decise di rendere pubblica a questa classe di nuovi ricchi il Sangi ittō ōsōji.
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